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Dantedì - Echi e Suggestioni sull'onda di Dante - "Il Dante comico-irrealistico"

giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri




Echi e Suggestioni sull'onda di Dante



"Tra Cielo e Terra. Il Piacere di rileggere Dante" - Video rubrica promossa dall'Università del Salento, a cura di Walter Leonardo Puccetti


"Il Dante comico-irrealistico", Franco Tommasi (Video)

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Virginia Valzano Biliotti, Sonia Biliotti Zanzotto, Gabriella Sartor Zanzotto


Da parecchi giorni, sentivamo l’esigenza di scrivere alcuni pensieri scaturiti dalla visione dell’intervento del professor Franco Tommasi alla bella iniziativa “Tra cielo e terra, in cui è stato affrontato un argomento molto accattivante e generoso di sviluppi:

Il Dante comico-irrealistico.

La spinta ad intervenire è stata offerta dalla confidenza del relatore riguardo al verificarsi di un passaggio (comune a molti, per fortuna) dalla sbornia di noia del liceo”, che porta a detestare “ogni testo letterario”, alla condizione diinnamorati di questi testi meravigliosi”.

L’interesse per Dante e, nell’attuale occasione, per il Dante comico-irrealistico, è il premio meritato da una mente curiosa, portata a ricercare, nel vasto patrimonio culturale, quelle zone meno frequentate e dotata di una spiccata propensione ad indagare sia i contenuti che le scelte narrative.

Il suo spessore conoscitivo e la serietà, nel condurre un’opera, li ha dimostrati nel concepire e realizzare la stesura del libro, che noi abbiamo letto e anche divulgato con piacere, “Non c’è Cristo che tenga”, frutto di un lavorio serio e sistematico di ricerca.

In questa occasione, ci ha ricordato che la Divina Commedia “è stata un testo sempre presente nel cuore” e che volentieri portava con sé nell’edizione tascabile, in cui erano raccolte tutte e tre le cantiche.

Dante incanta tanti lettori, quando ci descrive l’alba, il tramonto, l’arcobaleno, il cielo estivo con le lucciole, il rumore forte del tuono tra l’argento delle nuvole.

Ed anche ci diverte, come in questa occasione, con i versi dei canti XXI e XXII dell’Inferno, dove il Poeta chiama sul palcoscenico i diavoli e i dannati ed una varietà di animali, delfini, rane, cani, anatre, falconi, attraverso le similitudini.


“E come all’orlo dell’acqua d’un fosso
stanno i ranocchi pur col muso fori,
sì che celano i piedi e l’altro grosso,
si stavan d’ogni parte i peccatori;
ma come s’appressava Barbariccia,
così si ritraèn sotto i bollori”

Inferno XXII vv. 25-30

E mentre lo spettacolo continua, il nostro Dante se ne sta rannicchiato sotto l’arcata di un ponte, nel timore che anche il suo Virgilio sia imbrogliato e che debbano restare lì! Ecco, una divertente immagine:

“I’ vidi, e anco ‘l cor me n’accapriccia,
uno aspettar così, com’elli ‘ncontra
ch’una rana rimane ed altra spiccia”

Inferno XXII vv. 31-33

Passione per Dante, dunque, gioia nel leggere i suoi versi, a partire dai loro suoni, gioia che sentiamo di provare, anche nel caso in cui non ci sia piena sintonia con i suoi fervori mistici, con i significati simbolici ed allegorici, derivati, lo comprendiamo, dalla mentalità medievale.

Una volta, il grande Jorge Luis Borges, intervistato da Gina Lagorio, ebbe a dire che “nessuno ha il diritto di privarsi della Commedia, della gioia di leggerla in modo ingenuo”. Ed ancora: “La Commedia che continua a sorprenderci, che durerà oltre la nostra vita, ben oltre le nostre veglie e sarà resa più ricca da ogni generazione di lettori”.

L’architetto Federico Zeri, in un’intervista alla Rai, rilasciata ad Antonio Debenedetti, intorno agli anni novanta, parlò della sua tardiva scoperta del Poema, avvenuta alla fine dei suoi studi e dell’enorme fascino su di lui esercitato, oltre che dalla straordinaria struttura architettonica, anche dai colori e dai rumori.

A volte, è apprezzato di più grazie all’ascolto di una lettura espressiva, come in quella di Tommasi, o ad una rappresentazione teatrale, ispirata ad un episodio del Poema e la scintilla scocca.

Il relatore ha scelto un Dante di cui non si parla tanto. Sono in molti, infatti, a preferire le figure e le vicende rese famose per l’interesse ed il giudizio positivo condiviso dai più.

Ma, il nostro relatore, uomo di scienza ed appassionato di letteratura si è orientato altrove!

Di estremo rilievo le parole del prof. Valter Leonardo Puccetti, che ha sottolineato la vastità di cultura del professor Tommasi.

Al giorno d’oggi, per fortuna ci sono persone, a cui va il nostro sguardo ammirato e, talvolta, meravigliato, dotate di ricchezza d’interessi e di competenze, anche in ambiti ritenuti lontani.

Al tempo di Dante, era possibile ad alcuni studiosi testimoniare la preparazione sia nelle Arti del Trivio che in quelle del Quadrivio: una divisione fra chi possedeva conoscenze in ambito scientifico e chi le aveva in ambito letterario non era contemplata.

E’ interessante ricordare il ricco ed articolato contributo, su quella situazione culturale, dato dal professor Andrea Battistini, nel 2013, con un suo lavoro su “Lingua, Letteratura e Scienza, da Dante a Calvino”.

Sorpresa e simpatia ci ha suscitato la lettura del professor Franco Tommasi, con il tono della sua voce e con una leggera gestualità, in grado di rendere la particolare sonorità del canto, dedicato ai barattieri.

Egli ci ha regalato quella dei versi che, nel Canto XXII dell’Inferno, vanno dal 97 al 151, sottolineandone il tono divertito, fantasioso e l’utilizzo di un registro basso, di grandissima efficacia.


«Se voi volete vedere o udire»,
ricominciò lo spaurato appresso
«Toschi o Lombardi, io ne farò venire;

ma stieno i Malebranche un poco in cesso,
sì ch’ei non teman de le lor vendette;
e io, seggendo in questo loco stesso,

per un ch’io son, ne farò venir sette
quand’io suffolerò, com’è nostro uso
di fare allor che fori alcun si mette».

Cagnazzo a cotal motto levò ’l muso,
crollando ’l capo, e disse: «Odi malizia
ch’elli ha pensata per gittarsi giuso!».


Ond’ei, ch’avea lacciuoli a gran divizia,
rispuose: «Malizioso son io troppo,
quand’io procuro a’ mia maggior trestizia»


Alichin non si tenne e, di rintoppo
a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali,
io non ti verrò dietro di gualoppo,
ma batterò sovra la pece l’ali.
Lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo,
a veder se tu sol più di noi vali».

O tu che leggi, udirai nuovo ludo:
ciascun da l’altra costa li occhi volse;
quel prima, ch’a ciò fare era più crudo.

Lo Navarrese ben suo tempo colse;
fermò le piante a terra, e in un punto
saltò e dal proposto lor si sciolse.


Di che ciascun di colpa fu compunto,
ma quei più che cagion fu del difetto;
però si mosse e gridò: «Tu se’ giunto!».

Ma poco i valse: ché l’ali al sospetto
non potero avanzar: quelli andò sotto,
e quei drizzò volando suso il petto:


non altrimenti l’anitra di botto,
quando ’l falcon s’appressa, giù s’attuffa,
ed ei ritorna sù crucciato e rotto.


Irato Calcabrina de la buffa,
volando dietro li tenne, invaghito
che quei campasse per aver la zuffa;


e come ’l barattier fu disparito,
così volse li artigli al suo compagno,
e fu con lui sopra ’l fosso ghermito.


Ma l’altro fu bene sparvier grifagno
ad artigliar ben lui, e amendue
cadder nel mezzo del bogliente stagno.


Lo caldo sghermitor sùbito fue;
ma però di levarsi era neente,
sì avieno inviscate l’ali sue.


Barbariccia, con li altri suoi dolente,
quattro ne fé volar da l’altra costa
con tutt’i raffi, e assai prestamente


di qua, di là discesero a la posta;
porser li uncini verso li ’mpaniati,
ch’eran già cotti dentro da la crosta;


e noi lasciammo lor così ’mpacciati.

Inferno XXII vv. 97-151


Grazie al relatore, poiché la sua scelta ci ha ricordato il Dante maestro nello scrivere sia argomenti religiosi, sia argomenti comici, realistici.

Qui, in queste terzine, la vicenda è comica, quindi, il Poeta può scegliere il registro basso.

Ecco, allora, per illustrare la zuffa: l’invenzione dei nomi dei diavoli, le parole dai suoni aspri, il linguaggio pieno di battute ironiche, le scene dialogate con il fraseggio rapido, i rumori ed i suoni volgari.

Il relatore ci ha permesso di condividere la freschezza e gli scherzi che caratterizzano uno dei Canti più divertenti del Poema.

A ripensare ad alcune pagine del “De Vulgari Eloquentia”, vi troviamo i principi che hanno permesso a Dante questo registro basso. Nel II Trattato, infatti, Dante sosteneva quello della convenentia, cioè quel principio, in base al quale, chi scriveva doveva cercare la corrispondenza fra materia trattata e livello linguistico-stilistico.

Ci parlava, in quelle pagine, insomma, della necessaria coerenza fra Forma e Contenuto (per usare il nostro linguaggio).

Ecco, quindi, Dante si è scritto l’autocertificazione! L’autorizzazione a procedere sul percorso dei personaggi, fra la pece bollente. Ben gli sta a quei peccatori, fra cui, per poco, restava anche lui! Almeno, là, Dante gliela destina la condanna, li punisce ben bene e li fa bollire, pungolati da dieci diavoli! La vicenda lo autorizza ad usare il registro linguistico comico, stile basso. Può farlo: l’argomento glielo consente!

Il relatore ha voluto poi sottolineare che, fra i motivi della preferenza per questo Canto, c’è anche quello di provare “il piacere che i barattieri ed i concussori abbiano una sorte così cruda”, pensando con rammarico al giorno d’oggi, con il cammino delle leggi spesso intralciato.

Inoltre, ha messo ben in risalto la vivacità ed il dinamismo delle scene narrate, con i barattieri ed i diavoli all’opera, attraverso colpi di scena e dispetti, che davvero fanno divertire.

Il modo con cui sono stati presentati da Dante i particolari di ogni mossa, all’interno della pece bollente, forse, è anche una spia del desiderio di vendetta da parte sua contro quei peccatori.

Molto implicato il nostro pellegrino, perché la baratteria era il capo d’accusa responsabile del suo esilio.

I barattieri sono paragonati a ranocchi che, sull’orlo del fosso, fanno spuntare solo “il muso” e, quando uno dei diavoli, Barbariccia, si avvicina, si nascondono nella pece bollente; si meritano di avere guardiani violenti ed imprevedibili: Farfarello, Cagnazzo, Alichino e Calcabrina sono gli altri diavoli che compaiono nei versi appena letti, ma, in realtà, sono dieci e tutti descritti con lo stile comico.


«"Tra' ti avante, Alichino, e Calcabrina",

cominciò elli a dire, "e tu, Cagnazzo;

e Barbariccia guidi la decina.

Libicocco vegn'oltre e Draghignazzo,

Cirïatto sannuto e Graffiacane

e Farfarello e Rubicante pazzo."»

Inf. XXI vv. 118-123

Alcune curiosità: in una celebre canzone in napoletano al ritmo di tarantella della fine del '700, intitolata “Lo Guarracino”, come ha ricordato Tommasi, compare il diavolo Farfariello.

“Quanno lo 'ntise lo poveriello
se lo pigliaje Farfariello;”

La canzone narra una vicenda di amori e liti tra pesci.

Tra le interpretazioni più celebri ricordiamo quella di Sergio Bruni nel 1956 e poi di Roberto Murolo, Fausto Cigliano e della Nuova Compagnia di Canto Popolare.

Ma, potremmo citare anche un interprete a noi molto vicino, che è il professor Tommasi. Egli è infatti è un grande esperto ed appassionato di musica popolare salentina e delle più antiche canzoni napoletane, che ha anche interpretato e inciso su CD.

Ogni tanto ci regala delle bellissime performance, anche improvvisate, come quella del dicembre del 2019 al Rettorato, in occasione dell’incontro per gli auguri di Natale. Ha suonato e cantato, cosa del tutto inaspettata, insieme al Rettore Fabio Pollice, napoletano, anch’egli grande appassionato e interprete delle canzoni della sua terra e facente parte (abbiamo saputo) di un'Associazione costituita ad hoc a Lecce, “ANAL - Associazione Napoletani a Lecce”, tutti e soltanto napoletani, eccetto Tommasi, ammesso agli onori del gruppo.

Il nome di Farfariello lo troviamo anche nelle Operette di Giacomo Leopardi, nella “Ninna nanna della guerra” di Trilussa, in espressioni popolaresche nella cultura toscana, nel dialetto calabrese che indica col nome di “Farfariadu un vento del Sud che porta scompiglio, e come personaggio, tuttora presente nella cultura popolare partenopea. L’origine del nome è riconducibile al termine arabo “farfar” che significa “folletto”.

Il relatore, ci ha confidato la sua passione per il Don Chisciotte e Teofilo Folengo e ci ha raccontato anche della sua recente e casuale scoperta di un libretto del suo amato Folengo, scritto nel divertente latino maccheronico del Cinquecento, che contiene il nome di tutti e dieci i diavoli danteschi!

Ed intanto, noi ci divertiamo a scorrazzare tra tutti i versi, come in una rappresentazione teatrale.

Dante anche regista! Dante autorizzato al registro basso! Le tematiche glielo consentivano.

Secondo Tommasi, non è giusta la collocazione decisa da Dante di certi personaggi.

L’attenzione va a quelli che Dante aveva assunto come Maestri, ai grandi nomi dell’antichità:

Omero, Aristotele, Platone, Virgilio, Ovidio, Orazio, che a Tommasi ed anche a noi dispiace trovare collocati nel Limbo.

Non è ancora l’Inferno, è vero, ma rimane sempre un luogo, dal quale non potrà partire alcun cammino di salvezza.

Se la meriterebbero la salvezza, loro, testimoni di “virtus” e di “honor”, guide autorevoli di generazioni.

Il relatore, poi, ha espresso il suo disappunto (che noi condividiamo) sul ruolo di San Bernardo, che ha definito “un criminale, che incita ad uccidere gli infedeli, perché cosa grata a Dio”.

Invece, Dante lo ha scelto come guida nell’ultimo tratto del Paradiso, perché preghi l’intercessione della Vergine, per riuscire ad avere la visione di Dio.

Quella visione è posta come sommo obiettivo ed è messa in risalto dall’alto numero di termini che, all’interno del Poema, richiamano l’atto del vedere, nelle possibili varianti, anche attraverso gli stessi occhi.

La preferenza del relatore per la Cantica dell'Inferno è stata motivata e ribadita!

Nelle sue argomentazioni emerge anche, come osserva il prof. Puccetti, il gusto per una vena dissacratoria della letteratura universale; egli si annoierebbe nel Paradiso, si sente a suo agio dove si scherza e si dissacra, preferirebbe stare nell’Inferno, tra i golosi.

Certamente, la pece bollente in cui sono immersi i barattieri, non se la merita. Ma, forse, sarebbe opportuno da parte sua rivedere la prospettiva della sua collocazione, ammessa la golosità!

L'opzione potrebbe essere tra i golosi dell'Inferno, con Ciacco (famoso per la sua invettiva contro Firenze) o tra quelli del Purgatorio, dove il relatore si troverebbe con Forese, un peccatore di gola, che Dante (magari per amicizia) ha messo in Purgatorio.

Là, squartati da Cerbero, un orrendo diavolo con tre teste, che grida verso i golosi, immersi nel fango, sotto una pioggia incessante.

Nel Purgatorio, la loro pena non è meno severa, costretti come sono a sopportare una tremenda fame! Però, qui, la sofferenza non è eterna: il cammino verso il Paradiso c'è, dopo un periodo di pentimento e grazie alle preghiere dei vivi.

Noi sappiamo che Tommasi apprezza la cucina tipica salentina e anche quella di altre regioni e conosce molte trattorie dove portare gli amici per condividere con gusto e allegria ogni prelibatezza. Proprio per questo noi non lo vogliamo nell’Inferno.

Meglio scontare i peccati di gola con Forese Donati, in Purgatorio! Semmai!

Di grande interesse è stato il collegamento tra I Sistemi Operativi, di cui il relatore è docente nell’Università del Salento, e la frequenza dei termini “occhio-occhi” e “vedere”, usati da Dante, di cui parla ai suoi studenti, all’inizio del Corso, per mostrare loro la potenza dell’interfaccia a linea di comando: con un solo comando, è possibile avere un dizionario di frequenza di tutti i termini presenti nella Divina Commedia.

In effetti, se pensiamo a S. Paolo, a cui Dante accenna, quando è preso dalla paura di non riuscire nel suo viaggio, e se ricordiamo la visione vissuta dall’apostolo, condividiamo l’importanza della vista. Essa è essenziale, oltre alle parole, per rendere credibile il viaggio ultraterreno, con tanti richiami alla garanzia di esperienza diretta visiva.

Per questo, sono tante le volte in cui Dante, al fine di certificare, ci assicura di aver visto con i suoi occhi.

Ammirevole è la grande capacità di Tommasi di coniugare i “Sistemi Operativi”, l’Informatica, con la letteratura, la storia, la musica e il canto, con grande sapienza e leggerezza, e di coinvolgere in modo divertente l’ascoltatore.

Vengono in mente i titoli delle lezioni americane di Italo Calvino “leggerezza”, “rapidità”, “esattezza”, “visibilità”, “molteplicità” e “coerenza”.

Tanti spunti interessanti e allegri per una rilettura di Dante e tanti bei ricordi dei tempi lontani, trascorsi con intensità ed entusiasmo per innovare l’Università.

La sua edizione tascabile della Divina Commedia, che portava sempre con sé (prima che stesse nei cellulari), ci ricorda la deliziosa edizione diamante di fine ottocento, di cm 6,5 x 4,5, con il testo integrale del capolavoro dantesco, i caratteri nitidi e leggibilissimi, la legatura in pelle e la copertina con titoli e decorazioni in oro, di proprietà di chi scrive, che nei primi anni novanta fu utilizzata come “cavia” dalla direttrice del Coordinamento SIBA dell’Università del Salento (Virginia Valzano), per l’avvio di un progetto, primo in Italia, di digitalizzazione e restauro virtuale di materiale antico, raro e di pregio, mediante un innovativo sistema di acquisizione ed elaborazione digitale ad altissima risoluzione.

La sua passione per la musica, per le canzoni salentine e napoletane e per gli strumenti musicali (che, come alcune di noi, sa suonare) ci ricorda la nostra stessa passione.

Il violino, in particolare, ci ricorda anche i due “Gopher”, implementati all’inizio degli anni novanta, tra i primi in Italia, nell’Università del Salento, per la navigazione in rete, uno su un server di nome SIBA (non fantasioso, ma molto istituzionale), l’altro, il suo, su un Mac di nome Violino, seguiti poi dai due “Web”, sempre tra i primi a livello nazionale, di nome rispettivamente Siba2 e Silos (che poteva rappresentare, da un punto di vista informatico, un grande contenitore di informazioni e, nella sua fantasia musicale, probabilmente anche un silofono). Infatti, egli amava dare ai computer i nomi di strumenti musicali, ne aveva un terzo di nome Arpa, mentre il Coordinamento SIBA aveva il SIBA3, e via di seguito.

Insomma, tutto un sistema informativo che viaggiava in rete attraverso gli strumenti musicali di una grande orchestra.

E’ interessante ricordare come l’Università del Salento sia stata sempre all’avanguardia rispetto ad altre Università italiane e straniere, in particolare nel campo dell’informatica e delle tecnologie digitali applicate ai Beni Culturali, ed una delle prime nelle applicazioni 3D, per le quali il Coordinamento SIBA, ha ricevuto prestigiosi premi e riconoscimenti a livello nazionale e internazionale.

Possiamo citare, tra l’altro, l’implementazione da parte dello stesso Coordinamento SIBA, già verso la fine degli anni novanta, di una piattaforma e-learning per i corsi a distanza, una tecnologia all’epoca, purtroppo, poco utilizzata, ma riscoperta oggi e utilizzata con nuove tecnologie, su larga scala, soprattutto in questo periodo di pandemia. Ma già alcuni anni prima (dal 1994) aveva iniziato ad occuparsi di formazione a distanza Franco Tommasi che in seguito, nel 2006, allestì un Campus satellitare ad hoc.

Anche nell’Editoria Scientifica Elettronica ad accesso aperto l’Università del Salento è stata la prima in Italia, con l’implementazione da parte del Coordinamento SIBA, verso la fine degli anni novanta, del Sistema di pubblicazione ESE, open access, gratuito e all’avanguardia, che è a tutt’oggi un punto di riferimento per i ricercatori.

L’open access e la scienza aperta sono ormai considerati elementi fondamentali per la divulgazione rapida della conoscenza e, oggi, più che mai, per la condivisione dei dati, aperti e accessibili a tutti, riguardanti il Covid-19.

Franco Tommasi, per diversi anni, è stato, tra l’altro, anche delegato del Rettore all’Informatica e, come tale, ha promosso e sostenuto molte innovazioni tecnologiche.

Amante della natura, è inoltre uno dei primi componenti del Comitato Scientifico di SCIRES-IT (http://www.sciresit.it/), una rivista scientifica online, di grande prestigio, open access ed ecosostenibile, fondata nell’ambito di un progetto editoriale del 2009, che coniuga i principi della Dichiarazione di Berlino sull'Open Access con gli obiettivi della Convenzione Internazionale della Diversità Biologica, favorendo la divulgazione scientifica, rapida e senza barriere, la conoscenza della biodiversità in tutti i suoi aspetti, la tutela del territorio e l'uso sostenibile delle risorse naturali. Il Manifesto della rivista prevede infatti, per ogni pubblicazione elettronica ad accesso aperto, un intervento di restauro ambientale nelle aree protette, sensibili, di reti ecologiche, con l’introduzione di ecotipi locali di specie autoctone. Temi oggi di grande interesse e fortemente dibattuti per la salvaguardia della biodiversità.

Proprio sul primo numero di questa rivista, Tommasi ha scritto un interessante articolo sulla “trasmissione di audio-video in diretta su larga scala” e nel secondo numero del 2011, subito dopo la scomparsa di Steve Jobs, un articolo dal titolo “Quanto Jobs c'è in Apple?”, in cui spiega, tra l’altro, come “molti vizi e virtù di Apple hanno le radici in vizi e virtù di Steve Jobs”.

Insomma, la relazione tenuta da Tommasi, ci ha regalato tanti spunti di riflessione, in questo incontro con il Dante comico-irrealistico.

Definizioni azzeccate entrambe: richiami alla realtà comica ed al mondo irreale.

Intanto, durante la lettura ci siamo divertite.

E forse, anche Dante, mentre scriveva queste terzine. Lo vogliamo pensare.

Anche lui avrà avuto bisogno dei momenti liberatori, tanto raccomandati in questo difficile terzo Millennio!

Può essere suggerito anche un altro approfondimento, suscitato dalla bella relazione di Tommasi:

la giovanile adesione di Dante ad un sistema letterario, molto diffuso nel secolo in cui visse.

Ci riferiamo ad una sua esperienza letteraria, in cui Dante aveva provato argomenti e linguaggi, diffusi fra amici... Non era solo il nostro Dante.

Uno dei livelli fondamentali del sistema letterario duecentesco era quello della poesia giocosa e comica, variamente declinata, fra cui comparivano la satira, la parodia, l’alterco, l’improperio, che comprendevano anche la rappresentazione realistica.

Il nostro Dante lo sperimentò e questo fu un prezioso apprendistato, grazie al quale noi, oggi, possiamo gustarci i versi che ci ha appena letto il relatore.

La prova di questa esperienza è data dalla “Tenzone fra Dante e Forese Donati”, suo grande amico, incontrato in Purgatorio fra i golosi, fratello, per la cronaca, di Corso Donati, suo acerrimo nemico, e della tenera Piccarda, di cui noi abbiamo parlato nel nostro “Dantedì” (http://www.ceit-otranto.it/index.php/progetti/362-dantedi), nei “Dialoghi al femminile” (http://www.ceit-otranto.it/index.php/progetti/359-dantedi).

In quest’opera di Dante troviamo la volontaria bassezza di linguaggio; fu composta, tra il 1293 ed il 1296, da un Dante trentenne. Le tre coppie di sonetti, in cui i due amici si scambiano accuse ed insulti anche feroci ed oscene, con un linguaggio basso, pieno di allusioni, dimostrano l’accoglienza spontanea da parte di Dante al topos dell’alterco fittizio e della “vituperatio”.

E’ stata, come riconosciuto dalla critica, un’esperienza importante, di vita e di stile, per la stesura della Commedia. Lo studioso Michele Barbi in “Opere Minore” 1960, sostiene che:

“La Commedia presenta una ricchezza di esperienze e di risorse stilistiche, della quale non avremmo precedenti in Dante, senza i Sonetti della Tenzone. Il grande realismo e le straordinarie facoltà mimetiche di Dante hanno anche nelle ingiurie scambiate con Forese la loro “fucina”.


“Chi udisse tossir la malfamata,
moglie di Bicci vocato Forese,
potrebbe dir ch’ella forse vernata
ove si fa ‘l cristallo in quel paese.

Di mezzo agosto la truovi infreddata;
or sappi che de’ far d’ogni mese!
E non le val perché dorma calzata,
merzé del copertoio ch’ha cortonese.

La tosse, ‘l freddo e l’altra mala voglia,
non l’addivien per omor ch’abbia vecchi,
ma per difetto ch’ella sente al nido.

Piange la madre, c’ha più d’una doglia,
dicendo: Lassa, che per fichi secchi
messa l’avre’ ‘n casa del Conte Guido”.

Un accenno brevissimo alla divertente Tenzone, con il sonetto, appena trascritto.


Lecce, Bristol, Udine, 30 Aprile 2020



 

Dialoghi al femminile

Immagini Dantesche


Da parecchi giorni, sentivamo l’esigenza di scrivere alcuni pensieri scaturiti dalla visione dell’intervento del professor Francesco Tommasi alla bella iniziativa “Tra cielo e terra, in cui è stato affrontato un argomento molto accattivante e generoso di sviluppi:

Il Dante comico-irrealistico.

La spinta ad intervenire è stata offerta dalla confidenza del relatore riguardo al verificarsi di un passaggio (comune a molti, per fortuna) dalla sbornia di noia del liceo”, che porta a detestare “ogni testo letterario”, alla condizione diinnamorati di questi testi meravigliosi”.

L’interesse per Dante e, nell’attuale occasione, per il Dante comico-irrealistico, è il premio meritato da una mente curiosa, portata a ricercare, nel vasto patrimonio culturale, quelle zone meno frequentate e dotata di una spiccata propensione ad indagare sia i contenuti che le scelte narrative.

Il suo spessore conoscitivo e la serietà, nel condurre un’opera, li ha dimostrati nel concepire e realizzare la stesura del libro, che noi abbiamo letto e anche divulgato con piacere, “Non c’è Cristo che tenga”, frutto di un lavorio serio e sistematico di ricerca.

In questa occasione, ci ha ricordato che la Divina Commedia “è stata un testo sempre presente nel cuore” e che volentieri portava con sé nell’edizione tascabile, in cui erano raccolte tutte e tre le cantiche.

Dante incanta tanti lettori, quando ci descrive l’alba, il tramonto, l’arcobaleno, il cielo estivo con le lucciole, il rumore forte del tuono tra l’argento delle nuvole.

Ed anche ci diverte, come in questa occasione, con i versi dei canti XXI e XXII dell’Inferno, dove il Poeta chiama sul palcoscenico i diavoli e i dannati ed una varietà di animali, delfini, rane, cani, anatre, falconi, attraverso le similitudini.

“E come all’orlo dell’acqua d’un fosso

stanno i ranocchi pur col muso fori,

sì che celano i piedi e l’altro grosso,

si stavan d’ogni parte i peccatori;

ma come s’appressava Barbariccia,

così si ritraèn sotto i bollori”

Inferno XXII vv. 25-30

E mentre lo spettacolo continua, il nostro Dante se ne sta rannicchiato sotto l’arcata di un ponte, nel timore che anche il suo Virgilio sia imbrogliato e che debbano restare lì! Ecco, una divertente immagine:

“I’ vidi, e anco ‘l cor me n’accapriccia,

uno aspettar così, com’elli ‘ncontra

ch’una rana rimane ed altra spiccia”

Inferno XXII vv. 31-33

Passione per Dante, dunque, gioia nel leggere i suoi versi, a partire dai loro suoni, gioia che sentiamo di provare, anche nel caso in cui non ci sia piena sintonia con i suoi fervori mistici, con i significati simbolici ed allegorici, derivati, lo comprendiamo, dalla mentalità medievale.

Una volta, il grande Jorge Luis Borges, intervistato da Gina Lagorio, ebbe a dire che “nessuno ha il diritto di privarsi della Commedia, della gioia di leggerla in modo ingenuo”. Ed ancora: “La Commedia che continua a sorprenderci, che durerà oltre la nostra vita, ben oltre le nostre veglie e sarà resa più ricca da ogni generazione di lettori”.

L’architetto Federico Zeri, in un’intervista alla Rai, rilasciata ad Antonio Debenedetti, intorno agli anni novanta, parlò della sua tardiva scoperta del Poema, avvenuta alla fine dei suoi studi e dell’enorme fascino su di lui esercitato, oltre che dalla straordinaria struttura architettonica, anche dai colori e dai rumori.

A volte, è apprezzato di più grazie all’ascolto di una lettura espressiva, come in quella di Tommasi, o ad una rappresentazione teatrale, ispirata ad un episodio del Poema e la scintilla scocca.

Il relatore ha scelto un Dante di cui non si parla tanto. Sono in molti, infatti, a preferire le figure e le vicende rese famose per l’interesse ed il giudizio positivo condiviso dai più.

Ma, il nostro relatore, uomo di scienza ed appassionato di letteratura si è orientato altrove!

Di estremo rilievo le parole del prof. Valter Leonardo Puccetti, che ha sottolineato la vastità di cultura del professor Tommasi.

Al giorno d’oggi, per fortuna ci sono persone, a cui va il nostro sguardo ammirato e, talvolta, meravigliato, dotate di ricchezza d’interessi e di competenze, anche in ambiti ritenuti lontani.

Al tempo di Dante, era possibile ad alcuni studiosi testimoniare la preparazione sia nelle Arti del Trivio che in quelle del Quadrivio: una divisione fra chi possedeva conoscenze in ambito scientifico e chi le aveva in ambito letterario non era contemplata.

E’ interessante ricordare il ricco ed articolato contributo, su quella situazione culturale, dato dal professor Andrea Battistini, nel 2013, con un suo lavoro su “Lingua, Letteratura e Scienza, da Dante a Calvino”.

Sorpresa e simpatia ci ha suscitato la lettura del professor Francesco Tommasi, con il tono della sua voce e con una leggera gestualità, in grado di rendere la particolare sonorità del canto, dedicato ai barattieri.

Egli ci ha regalato quella dei versi che, nel Canto XXII dell’Inferno, vanno dal 97 al 151, sottolineandone il tono divertito, fantasioso e l’utilizzo di un registro basso, di grandissima efficacia.

«Se voi volete vedere o udire»,

ricominciò lo spaurato appresso

«Toschi o Lombardi, io ne farò venire;

ma stieno i Malebranche un poco in cesso,

sì ch’ei non teman de le lor vendette;

e io, seggendo in questo loco stesso,

per un ch’io son, ne farò venir sette

quand’io suffolerò, com’è nostro uso

di fare allor che fori alcun si mette».

Cagnazzo a cotal motto levò ’l muso,

crollando ’l capo, e disse: «Odi malizia

ch’elli ha pensata per gittarsi giuso!».

Ond’ei, ch’avea lacciuoli a gran divizia,

rispuose: «Malizioso son io troppo,

quand’io procuro a’ mia maggior trestizia»

Alichin non si tenne e, di rintoppo

a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali,

io non ti verrò dietro di gualoppo,

ma batterò sovra la pece l’ali.

Lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo,

a veder se tu sol più di noi vali».

O tu che leggi, udirai nuovo ludo:

ciascun da l’altra costa li occhi volse;

quel prima, ch’a ciò fare era più crudo.

Lo Navarrese ben suo tempo colse;

fermò le piante a terra, e in un punto

saltò e dal proposto lor si sciolse.

Di che ciascun di colpa fu compunto,

ma quei più che cagion fu del difetto;

però si mosse e gridò: «Tu se’ giunto!».

Ma poco i valse: ché l’ali al sospetto

non potero avanzar: quelli andò sotto,

e quei drizzò volando suso il petto:

non altrimenti l’anitra di botto,

quando ’l falcon s’appressa, giù s’attuffa,

ed ei ritorna sù crucciato e rotto.

Irato Calcabrina de la buffa,

volando dietro li tenne, invaghito

che quei campasse per aver la zuffa;

e come ’l barattier fu disparito,

così volse li artigli al suo compagno,

e fu con lui sopra ’l fosso ghermito.

Ma l’altro fu bene sparvier grifagno

ad artigliar ben lui, e amendue

cadder nel mezzo del bogliente stagno.

Lo caldo sghermitor sùbito fue;

ma però di levarsi era neente,

sì avieno inviscate l’ali sue.

Barbariccia, con li altri suoi dolente,

quattro ne fé volar da l’altra costa

con tutt’i raffi, e assai prestamente147

di qua, di là discesero a la posta;

porser li uncini verso li ’mpaniati,

ch’eran già cotti dentro da la crosta;

e noi lasciammo lor così ’mpacciati.

Inferno XXII vv. 97-151

Grazie al relatore, poiché la sua scelta ci ha ricordato il Dante maestro nello scrivere sia argomenti religiosi, sia argomenti comici, realistici.

Qui, in queste terzine, la vicenda è comica, quindi, il Poeta può scegliere il registro basso.

Ecco, allora, per illustrare la zuffa: l’invenzione dei nomi dei diavoli, le parole dai suoni aspri, il linguaggio pieno di battute ironiche, le scene dialogate con il fraseggio rapido, i rumori ed i suoni volgari.

Il relatore ci ha permesso di condividere la freschezza e gli scherzi che caratterizzano uno dei Canti più divertenti del Poema.

A ripensare ad alcune pagine del “De Vulgari Eloquentia”, vi troviamo i principi che hanno permesso a Dante questo registro basso. Nel II Trattato, infatti, Dante sosteneva quello della convenentia, cioè quel principio, in base al quale, chi scriveva doveva cercare la corrispondenza fra materia trattata e livello linguistico-stilistico.

Ci parlava, in quelle pagine, insomma, della necessaria coerenza fra Forma e Contenuto (per usare il nostro linguaggio).

Ecco, quindi, Dante si è scritto l’autocertificazione! L’autorizzazione a procedere sul percorso dei personaggi, fra la pece bollente. Ben gli sta a quei peccatori, fra cui, per poco, restava anche lui! Almeno, là, Dante gliela destina la condanna, li punisce ben bene e li fa bollire, pungolati da dieci diavoli! La vicenda lo autorizza ad usare il registro linguistico comico, stile basso. Può farlo: l’argomento glielo consente!

Il relatore ha voluto poi sottolineare che, fra i motivi della preferenza per questo Canto, c’è anche quello di provare “il piacere che i barattieri ed i concussori abbiano una sorte così cruda”, pensando con rammarico al giorno d’oggi, con il cammino delle leggi spesso intralciato.

Inoltre, ha messo ben in risalto la vivacità ed il dinamismo delle scene narrate, con i barattieri ed i diavoli all’opera, attraverso colpi di scena e dispetti, che davvero fanno divertire.

Il modo con cui sono stati presentati da Dante i particolari di ogni mossa, all’interno della pece bollente, forse, è anche una spia del desiderio di vendetta da parte sua contro quei peccatori.

Molto implicato il nostro pellegrino, perché la baratteria era il capo d’accusa responsabile del suo esilio.

I barattieri sono paragonati a ranocchi che, sull’orlo del fosso, fanno spuntare solo “il muso” e, quando uno dei diavoli, Barbariccia, si avvicina, si nascondono nella pece bollente; si meritano di avere guardiani violenti ed imprevedibili: Farfarello, Cagnazzo, Alichino e Calcabrina sono gli altri diavoli che compaiono nei versi appena letti, ma, in realtà, sono dieci e tutti descritti con lo stile comico.

«"Tra' ti avante, Alichino, e Calcabrina",

cominciò elli a dire, "e tu, Cagnazzo;

e Barbariccia guidi la decina.

Libicocco vegn'oltre e Draghignazzo,

Cirïatto sannuto e Graffiacane

e Farfarello e Rubicante pazzo."»

Inf. XXI vv. 118-123

Alcune curiosità: in una celebre canzone in napoletano al ritmo di tarantella della fine del '700, intitolata “Lo Guarracino”, come ha ricordato Tommasi, compare il diavolo Farfariello.

“Quanno lo 'ntise lo poveriello
se lo pigliaje Farfariello;”

La canzone narra una vicenda di amori e liti tra pesci.

Tra le interpretazioni più celebri ricordiamo quella di Sergio Bruni nel 1956 e poi di Roberto Murolo, Fausto Cigliano e della Nuova Compagnia di Canto Popolare.

Ma, potremmo citare anche un interprete a noi molto vicino, che è il professor Tommasi. Egli è infatti è un grande esperto ed appassionato di musica popolare salentina e delle più antiche canzoni napoletane, che ha anche interpretato e inciso su CD.

Ogni tanto ci regala delle bellissime performance, anche improvvisate, come quella del dicembre del 2019 al Rettorato, in occasione dell’incontro per gli auguri di Natale. Ha suonato e cantato, cosa del tutto inaspettata, insieme al Rettore Fabio Pollice, napoletano, anch’egli grande appassionato e interprete delle canzoni della sua terra e facente parte (abbiamo saputo) di un gruppo costituito ad hoc a Lecce, “I Napoletani a Lecce”, tutti è soltanto napoletani, eccetto Tommasi, ammesso agli onori del gruppo.

Il nome di Farfariello lo troviamo anche nelle Operette di Giacomo Leopardi, nella “Ninna nanna della guerra” di Trilussa, in espressioni popolaresche nella cultura toscana, nel dialetto calabrese che indica col nome di “Farfariadu un vento del Sud che porta scompiglio, e come personaggio, tuttora presente nella cultura popolare partenopea. L’origine del nome è riconducibile al termine arabo “farfar” che significa “folletto”.

Il relatore, ci ha confidato la sua passione per il Don Chisciotte e Teofilo Folengo e ci ha raccontato anche della sua recente e casuale scoperta di un libretto del suo amato Folengo, scritto nel divertente latino maccheronico del Cinquecento, che contiene il nome di tutti e dieci i diavoli danteschi!

Ed intanto, noi ci divertiamo a scorrazzare tra tutti i versi, come in una rappresentazione teatrale.

Dante anche regista! Dante autorizzato al registro basso! Le tematiche glielo consentivano.

Secondo Tommasi, non è giusta la collocazione decisa da Dante di certi personaggi.

L’attenzione va a quelli che Dante aveva assunto come Maestri, ai grandi nomi dell’antichità:

Omero, Aristotele, Platone, Virgilio, Ovidio, Orazio, che a Tommasi ed anche a noi dispiace trovare collocati nel Limbo.

Non è ancora l’Inferno, è vero, ma rimane sempre un luogo, dal quale non potrà partire alcun cammino di salvezza.

Se la meriterebbero la salvezza, loro, testimoni di “virtus” e di “honor”, guide autorevoli di generazioni.

Il relatore, poi, ha espresso il suo disappunto (che noi condividiamo) sul ruolo di San Bernardo, che ha definito “un criminale, che incita ad uccidere gli infedeli, perché cosa grata a Dio”.

Invece, Dante lo ha scelto come guida nell’ultimo tratto del Paradiso, perché preghi l’intercessione della Vergine, per riuscire ad avere la visione di Dio.

Quella visione è posta come sommo obiettivo ed è messa in risalto dall’alto numero di termini che, all’interno del Poema, richiamano l’atto del vedere, nelle possibili varianti, anche attraverso gli stessi occhi.

La preferenza del relatore per la Cantica dell'Inferno è stata motivata e ribadita!

Nelle sue argomentazioni emerge anche, come osserva il prof. Puccetti, il gusto per una vena dissacratoria della letteratura universale; egli si annoierebbe nel Paradiso, si sente a suo agio dove si scherza e si dissacra, preferirebbe stare nell’Inferno, tra i golosi.

Certamente, la pece bollente in cui sono immersi i barattieri, non se la merita. Ma, forse, sarebbe opportuno da parte sua rivedere la prospettiva della sua collocazione, ammessa la golosità!

L'opzione potrebbe essere tra i golosi dell'Inferno, con Ciacco (famoso per la sua invettiva contro Firenze) o tra quelli del Purgatorio, dove il relatore si troverebbe con Forese, un peccatore di gola, che Dante (magari per amicizia) ha messo in Purgatorio.

Là, squartati da Cerbero, un orrendo diavolo con tre teste, che grida verso i golosi, immersi nel fango, sotto una pioggia incessante.

Nel Purgatorio, la loro pena non è meno severa, costretti come sono a sopportare una tremenda fame! Però, qui, la sofferenza non è eterna: il cammino verso il Paradiso c'è, dopo un periodo di pentimento e grazie alle preghiere dei vivi.

Noi sappiamo che Tommasi apprezza la cucina tipica salentina e anche quella di altre regioni e conosce molte trattorie dove portare gli amici per condividere con gusto e allegria ogni prelibatezza. Proprio per questo noi non lo vogliamo nell’Inferno.

Meglio scontare i peccati di gola con Forese Donati, in Purgatorio! Semmai!

Di grande interesse è stato il collegamento tra I Sistemi Operativi, di cui il relatore è docente nell’Università del Salento, e la frequenza dei termini “occhio-occhi” e “vedere”, usati da Dante, di cui parla ai suoi studenti, all’inizio del Corso, per mostrare loro la potenza dell’interfaccia a linea di comando: con un solo comando, è possibile avere un dizionario di frequenza di tutti i termini presenti nella Divina Commedia.

In effetti, se pensiamo a S. Paolo, a cui Dante accenna, quando è preso dalla paura di non riuscire nel suo viaggio, e se ricordiamo la visione vissuta dall’apostolo, condividiamo l’importanza della vista. Essa è essenziale, oltre alle parole, per rendere credibile il viaggio ultraterreno, con tanti richiami alla garanzia di esperienza diretta visiva.

Per questo, sono tante le volte in cui Dante, al fine di certificare, ci assicura di aver visto con i suoi occhi.

Ammirevole è la grande capacità di Tommasi di coniugare i “Sistemi Operativi”, l’Informatica, con la letteratura, la storia, la musica e il canto, con grande sapienza e leggerezza, e di coinvolgere in modo divertente l’ascoltatore.

Vengono in mente i titoli delle lezioni americane di Italo Calvino “leggerezza”, “rapidità”, “esattezza”, “visibilità”, “molteplicità” e “coerenza”.

Tanti spunti interessanti e allegri per una rilettura di Dante e tanti bei ricordi dei tempi lontani, trascorsi con intensità ed entusiasmo per innovare l’Università.

La sua edizione tascabile della Divina Commedia, che portava sempre con sé (prima che stesse nei cellulari), ci ricorda la deliziosa edizione diamante di fine ottocento, di cm 6,5 x 4,5, con il testo integrale del capolavoro dantesco, i caratteri nitidi e leggibilissimi, la legatura in pelle e la copertina con titoli e decorazioni in oro, di proprietà di chi scrive, che nei primi anni novanta fu utilizzata come “cavia” dalla direttrice del Coordinamento SIBA dell’Università del Salento, per l’avvio di un progetto, primo in Italia, di digitalizzazione e restauro virtuale di materiale antico, raro e di pregio, mediante un innovativo sistema di acquisizione ed elaborazione digitale ad altissima risoluzione.

La sua passione per la musica, per le canzoni salentine e napoletane e per gli strumenti musicali (che, come alcune di noi, sa suonare) ci ricorda la nostra stessa passione.

Il violino, in particolare, ci ricorda anche i due “Gopher”, implementati all’inizio degli anni novanta, tra i primi in Italia, nell’Università del Salento, per la navigazione in rete, uno su un server di nome SIBA (non fantasioso, ma molto istituzionale), l’altro, il suo, su un Mac di nome Violino, seguiti poi dai due “Web”, sempre tra i primi a livello nazionale, di nome rispettivamente Siba2 e Silos (che poteva rappresentare, da un punto di vista informatico, un grande contenitore di informazioni e, nella sua fantasia musicale, probabilmente anche un silofono). Infatti, egli amava dare ai computer i nomi di strumenti musicali, ne aveva un terzo di nome Arpa, mentre il Coordinamento SIBA aveva il SIBA3, e via di seguito.

Insomma, tutto un sistema informativo che viaggiava in rete attraverso gli strumenti musicali di una grande orchestra.

E’ interessante ricordare come l’Università del Salento sia stata sempre all’avanguardia rispetto ad altre Università italiane e straniere, in particolare nel campo dell’informatica e delle tecnologie digitali applicate ai Beni Culturali, ed una delle prime nelle applicazioni 3D, per le quali il Coordinamento SIBA, ha ricevuto prestigiosi premi e riconoscimenti a livello nazionale e internazionale.

Possiamo citare, tra l’altro, l’implementazione da parte dello stesso Coordinamento SIBA, già verso la fine degli anni novanta, di una piattaforma e-learning per i corsi a distanza, una tecnologia all’epoca, purtroppo, poco utilizzata, ma riscoperta oggi e utilizzata con nuove tecnologie, su larga scala, soprattutto in questo periodo di pandemia. Ma già alcuni anni prima (dal 1994) aveva iniziato ad occuparsi di formazione a distanza Franco Tommasi che in seguito, nel 2006, allestì un Campus satellitare ad hoc.

Anche nell’Editoria Scientifica Elettronica ad accesso aperto l’Università del Salento è stata la prima in Italia, con l’implementazione da parte del Coordinamento SIBA, verso la fine degli anni novanta, del Sistema di pubblicazione ESE, open access, gratuito e all’avanguardia, che è a tutt’oggi un punto di riferimento per i ricercatori.

L’open access e la scienza aperta sono ormai considerati elementi fondamentali per la divulgazione rapida della conoscenza e, oggi, più che mai, per la condivisione dei dati, aperti e accessibili a tutti, riguardanti il Covid-19.

Franco Tommasi, per diversi anni, è stato, tra l’altro, anche delegato del Rettore all’Informatica e, come tale, ha promosso e sostenuto molte innovazioni tecnologiche.

Amante della natura, è inoltre uno dei primi componenti del Comitato Scientifico di SCIRES-IT (http://www.sciresit.it/), una rivista scientifica online, di grande prestigio, open access ed ecosostenibile, fondata nell’ambito di un progetto editoriale del 2009, che coniuga i principi della Dichiarazione di Berlino sull'Open Access con gli obiettivi della Convenzione Internazionale della Diversità Biologica, favorendo la divulgazione scientifica, rapida e senza barriere, la conoscenza della biodiversità in tutti i suoi aspetti, la tutela del territorio e l'uso sostenibile delle risorse naturali. Il Manifesto della rivista prevede infatti, per ogni pubblicazione elettronica ad accesso aperto, un intervento di restauro ambientale nelle aree protette, sensibili, di reti ecologiche, con l’introduzione di ecotipi locali di specie autoctone. Temi oggi di grande interesse e fortemente dibattuti per la salvaguardia della biodiversità.

Proprio sul primo numero di questa rivista, Tommasi ha scritto un interessante articolo sulla “trasmissione di audio-video in diretta su larga scala” e nel secondo numero del 2011, subito dopo la scomparsa di Steve Jobs, un articolo dal titolo “Quanto Jobs c'è in Apple?”, in cui spiega, tra l’altro, come “molti vizi e virtù di Apple hanno le radici in vizi e virtù di Steve Jobs”.

Insomma, la relazione tenuta da Tommasi, ci ha regalato tanti spunti di riflessione, in questo incontro con il Dante comico-irrealistico.

Definizioni azzeccate entrambe: richiami alla realtà comica ed al mondo irreale.

Intanto, durante la lettura ci siamo divertite.

E forse, anche Dante, mentre scriveva queste terzine. Lo vogliamo pensare.

Anche lui avrà avuto bisogno dei momenti liberatori, tanto raccomandati in questo difficile terzo Millennio!

Può essere suggerito anche un altro approfondimento, suscitato dalla bella relazione di Tommasi:

la giovanile adesione di Dante ad un sistema letterario, molto diffuso nel secolo in cui visse.

Ci riferiamo ad una sua esperienza letteraria, in cui Dante aveva provato argomenti e linguaggi, diffusi fra amici... Non era solo il nostro Dante.

Uno dei livelli fondamentali del sistema letterario duecentesco era quello della poesia giocosa e comica, variamente declinata, fra cui comparivano la satira, la parodia, l’alterco, l’improperio, che comprendevano anche la rappresentazione realistica.

Il nostro Dante lo sperimentò e questo fu un prezioso apprendistato, grazie al quale noi, oggi, possiamo gustarci i versi che ci ha appena letto il relatore.

La prova di questa esperienza è data dalla “Tenzone fra Dante e Forese Donati”, suo grande amico, incontrato in Purgatorio fra i golosi, fratello, per la cronaca, di Corso Donati, suo acerrimo nemico, e della tenera Piccarda, di cui noi abbiamo parlato nel nostro “Dantedì” (http://www.ceit-otranto.it/index.php/progetti/362-dantedi), nei “Dialoghi al femminile” (http://www.ceit-otranto.it/index.php/progetti/359-dantedi).

In quest’opera di Dante troviamo la volontaria bassezza di linguaggio; fu composta, tra il 1293 ed il 1296, da un Dante trentenne. Le tre coppie di sonetti, in cui i due amici si scambiano accuse ed insulti anche feroci ed oscene, con un linguaggio basso, pieno di allusioni, dimostrano l’accoglienza spontanea da parte di Dante al topos dell’alterco fittizio e della “vituperatio”.

E’ stata, come riconosciuto dalla critica, un’esperienza importante, di vita e di stile, per la stesura della Commedia. Lo studioso Michele Barbi in “Opere Minore” 1960, sostiene che:

“La Commedia presenta una ricchezza di esperienze e di risorse stilistiche, della quale non avremmo precedenti in Dante, senza i Sonetti della Tenzone. Il grande realismo e le straordinarie facoltà mimetiche di Dante hanno anche nelle ingiurie scambiate con Forese la loro “fucina”.

“Chi udisse tossir la malfamata,

moglie di Bicci vocato Forese,

potrebbe dir ch’ella forse vernata

ove si fa ‘l cristallo in quel paese.

Di mezzo agosto la truovi infreddata;

or sappi che de’ far d’ogni mese!

E non le val perché dorma calzata,

merzé del copertoio ch’ha cortonese.

La tosse, ‘l freddo e l’altra mala voglia,

non l’addivien per omor ch’abbia vecchi,

ma per difetto ch’ella sente al nido.

Piange la madre, c’ha più d’una doglia,

dicendo: Lassa, che per fichi secchi

messa l’avre’ ‘n casa del Conte Guido”.

Un accenno brevissimo alla divertente Tenzone, con il sonetto, appena trascritto.

Lecce, Bristol, Udine, 30 Aprile 2020

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