"Dantedì" giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri - Dialoghi al femminile : La Natura nella Divina Commedia
giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri
Dialoghi al femminile
- La Natura nella Divina Commedia
“Lo bel pianeto che d’amar conforta / faceva tutto rider l’oriente”
Purgatorio I vv. 19-20
Virginia Valzano Biliotti (Presentatrice)
Continuiamo i nostri dialoghi al femminile su Dante, ritenuto padre dell’Italia, proprio in questo giorno importante per il nostro Paese, 25 aprile.
In questo secondo incontro, virtuale come il primo, riprendiamo la tematica amorosa, ma il fulcro, l'oggetto d'Amore di Dante non è la donna, bensì la Natura. Da scrivere con la lettera maiuscola, per il ruolo che essa riveste per Lui, che naturalmente è consapevole della concezione medioevale, in nome della quale era considerata figlia di Dio.
Ma, la Natura per Dante ha un ruolo ulteriore: essa diventa fonte d’ispirazione poetica, terreno, su cui misurare le sue acquisizioni di carattere scientifico, luogo di partenza per potenziare le sue capacità di osservazione, per individuare l’evoluzione di certi fenomeni naturali e per ipotizzare collegamenti, avvalendosi dell’intuizione e del richiamo alla memoria di quelli personalmente conosciuti.
Tante volte, rileviamo in lui l’atteggiamento del ricercatore ed insieme la straordinaria capacità descrittiva ed evocativa che ci fa sostare incantati davanti alle sue immagini sulla natura, con scelte di colori, di suoni, di echi e di ritmi, che solamente un poeta come Dante sa creare.
Partiamo dalla concezione della Natura che aveva, come uomo del Medio Evo.
La collocazione dell’uomo sulla terra, nella realtà fisica, era considerata una collocazione temporanea, in attesa di una permanenza eterna nel Paradiso, a cui sperare di giungere, dopo una vita vissuta nel rispetto dei dettami della religione cristiana.
Tutto quanto lo circonda non ha un valore solamente in sé; infatti, ogni aspetto della Natura assume significato soltanto perché in esso si riflette la perfezione e la bellezza della mano di Dio, Creatore di tutte le cose.
Ci sono versi che ne sono una preziosa testimonianza.
Gabriella Sartor Zanzotto (Relatrice)
Davvero, è così.
Il periodo del Medio Evo, in cui si trovò a vivere Dante, è un periodo nel quale l’uomo si riteneva un viator, un pellegrino, che avvertiva soprattutto il suo rapporto con il soprannaturale. Infatti, come è appena stato ben anticipato, ogni aspetto del mondo “sensibile”, cioè percepito attraverso i sensi, era permeato di “spirituale”, di cui il mondo terreno era il riflesso.
March Bloch, storico del Novecento, di raro acume, nell’opera “La società feudale”, aveva sostenuto un’idea di grande rilievo, in base alla quale “agli occhi di tutte le persone, allora, il mondo sensibile non appariva più che una specie di maschera, dietro la quale avvenivano tutte le cose veramente importanti”.
L’uomo mira a raggiungere una meta lontana, a cui rivolge tutto il suo interesse; pertanto, gli elementi della Natura hanno valore in quanto “umbriferi”, cioè soffusi di un’ombra che non permette ancora di vedere, “prefazi”, cioè anticipazioni del significato più profondo di quella realtà.
Dante, ad esempio, nel Paradiso Terrestre si trova davanti un fiume di luce, che scorre tra due rive con i fiori fra l’erba; da quel fiume entrano ed escono scintille, come pietre preziose.
L’esperienza, che vive di fronte a questo panorama, ha un significato ulteriore, rispetto a quello ricavato dalla visione della scena; ciascun elemento simboleggia qualcosa di diverso: così, i fiori simboleggiano i beati e le faville gli angeli. Da Beatrice saprà che le due rive sono come prefazioni che adombrano un altro messaggio, poiché stanno a significare i due libri basilari per un cristiano: l’Antico ed il Nuovo Testamento.
“Anche aggiunse: Il fiume e li topazii
ch’entrano ed escono e ‘l rider de l’erbe
son di lor vero umbriferi prefazii”
Paradiso Canto XXX vv. 76-78
Umberto Eco, fra gli studiosi del Medio Evo, è uno dei più convinti sostenitori della tesi appena enunciata: “l’uomo medievale viveva effettivamente in un mondo popolato di sovrasensi, di manifestazioni di Dio nelle cose”, segni di una verità più profonda.
Virginia Valzano Biliotti
Oltre che la scoperta di significati nascosti, a cui deve tendere ogni cristiano, a Dante la Natura offre un’occasione continua di osservazione, di apprendimento di cose nuove e costituisce, allo stesso tempo, una fonte irrinunciabile d’ispirazione, a partire proprio da lei, così come appare.
Ma, allora, suscita più che mai stupore che la Divina Commedia, ai mille motivi d’interesse, provati per sette secoli ed in ogni parte del mondo, ne aggiunga altri, scaturiti dal fascino che ha in sé. Il Poema stimola un’attenzione che va oltre a quella dovuta dal buon cristiano, che Dante mostra di avere per tanti aspetti della natura, descritti in ogni particolare, quando l’esperienza glielo consente, oppure, che ci offre attraverso similitudini.
Per descrivere i luoghi della prima e della seconda cantica, ma anche della terza, si riferisce a fenomeni di cui gli è possibile avere esperienza: la luce in vari luoghi, il bosco, i fiori, la vegetazione impenetrabile, la comparsa di animali, le discese, le frane, i gradoni, i fiumi, il mare calmo o in tempesta.
L’attenzione e la comprensione del lettore vengono continuamente mantenute, con richiami ai fenomeni sulla terra ed alla Natura, a cui Dante si rivolge sempre con grande interesse e con rispetto, insomma, con Amore.
Ecco, il messaggio prezioso di Dante che noi dobbiamo tenere presente in tutte le nostre scelte e nei nostri comportamenti.
Gabriella Sartor Zanzotto
La Natura è descritta, talvolta, con espressioni che attingono alle fonti classiche, bibliche e contemporanee e ciò, come vedremo, costituisce una prova della vastità della cultura di Dante.
Il sincretismo, come è stato chiamato, per indicare una compresenza di più suggestioni, non deve, però, farci dedurre che abbia voluto fare soprattutto e soltanto un’opera enciclopedica e didascalica, funzione, peraltro, da non negare.
Vorrei sottolineare anche in lui un’abitudine, alimentata e consolidata, all’osservazione, finalizzata a ricercare le cause dei fenomeni, a scoprire la trasformazione degli elementi, senza, però, tralasciare mai d’indicare la via della felicità eterna, da raggiungere nell’osservanza del Vangelo.
La Divina Commedia, infatti, è ricca di terzine in cui Dante si riferisce a luoghi della natura terrena per parlarci del mondo ultraterreno.
Abbiamo visto Matelda muoversi in un luogo descritto con riferimenti a paesaggi classici, con riferimenti terreni, pur trattandosi dell’Eden.
E così avviene in molte occasioni, dalle quali cercheremo di enucleare gli esempi più significativi.
Non si può tralasciare, certamente, di mettere in luce anche il suo amore per la descrizione di certi paesaggi naturali, desumendoli dal suo vasto patrimonio di conoscenze.
Sarebbe bello soffermarci sul rapporto uomo-natura, nella letteratura latina, dei poeti che Dante riteneva suoi maestri. Mi riferisco alle opere di Virgilio, di Orazio, di Ovidio, di Lucano, ma anche, di Omero, studiato nelle traduzioni dal greco, che Lui non conosceva. Sono questi gli esponenti della “bella scola”, di cui parla all’inizio del cammino, che si trovano nel Limbo, un luogo della natura di questo primo regno, avvolto nelle tenebre, che costituisce una dimora a sé, creata per accogliere le eccellenze della cultura classica, in un emisfero di luce:
“Venimmo al piè d’un nobile castello,
sette volte cerchiato d’alte mura,
difeso intorno d’un bel fiumicello.
........
giugnemmo in prato di fresca verdura.”
Inferno IV vv. 106-108 e v. 111
Il Canto IV dell’Inferno è un omaggio al mondo classico: il motivo dominante è rappresentato dall’incontro di Dante con i grandi poeti greci e latini, assunti da lui come modelli di poesia e di stile, pur individuando in loro i limiti di una cultura che non ha ancora conosciuto il Cristianesimo.
Viene celebrato l’ingegno umano attraverso un lungo elenco di personaggi che si sono distinti in ambito poetico, filosofico, storico, fra cui anche un maomettano, il celebre Saladino.
Messaggio straordinario: la “scientia” deve accogliere ogni voce, senza limiti, da ricercare in diverse fedi religiose, come in questo caso, o accampando altre ragioni.
Messaggio basilare, su quale Dante insisterà durante tutto il viaggio, attraverso la natura che incute terrore e che genera speranza: l’importanza di trovarsi in contesti di grande spessore etico, conoscitivo ed umano e di individuare un Maestro, che con la sua levatura umana e culturale, sappia indicare il cammino e creare una scuola.
Michela Cigola Cappellani (Interlocutrice)
Mi inserisco volentieri in questo incontro a più voci, per condividere l’idea del ruolo determinante che, nel processo di formazione di una persona, hanno il contesto, culturale ed umano, e la figura di un Maestro riconosciuto in grado di porgere all’allievo esempi autorevoli, nei vari campi del sapere.
Sono questi i versi, nei quali troviamo l’esaltazione della cultura e di chi sa trascinare nel suo incanto.
In essi, il ruolo prezioso del Maestro viene sottolineato due volte: Virgilio è “lo buon maestro” ed Aristotele è “’l maestro di color che sanno”. Credo sia interessante leggere le parole con le quali Dante esprime queste conoscenze e la sua esperienza:
“Lo buon maestro cominciò a dire:
"Mira colui con quella spada in mano,
che vien dinanzi ai tre sì come sire:
quelli è Omero poeta sovrano;
l’altro è Orazio satiro che vene;
Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano.”
Inferno Canto IV vv. 85-90
“Così vid’i’ adunar la bella scola
di quel segnor de l’altissimo canto
che sovra li altri com’aquila vola.”
Inferno Canto IV vv. 94-96
“vidi ’l maestro di color che sanno
seder tra filosofica famiglia.
Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
quivi vid’ïo Socrate e Platone,
che ’nnanzi a li altri più presso li stanno”
Inferno Canto IV vv. 131-135
Questi ultimi versi fanno venire in mente il grande matematico Ennio De Giorgi, mito della Scuola Normale Superiore di Pisa e Maestro di fama internazionale, circondato e ammirato da illustri scienziati e da allievi devoti e premurosi, che lo ascoltavano “per rubare una scintilla”, come recita la poesia “Il Maestro” a lui dedicata dal suo allievo prediletto, e poi suo collega, Livio Clemente Piccini.
Riporto solo alcuni versi:
dal soffitto scolpito,
e il tavolo verde
con i sette Professori.
Come su di una foglia
che il vento del domani
porterà via.
Ascoltavamo per rubare
una scintilla.” ………...
La poesia, appena citata, è pubblicata nel bellissimo volume dello stesso Piccinini, “Al suo grande Maestro Ennio De Giorgi” a cura di Virginia Valzano Biliotti e Gabriella Sartor Zanzotto.
E’ proprio a leggere i versi di Dante ed a sentire sottolineata l’importanza di un Maestro che mi è sorta spontanea l’analogia con uno dei più geniali scienziati del Novecento, a cui il Salento ha dato i natali ed al quale Egli non mancava di tornare, appena i suoi impegni di altissima ricerca glielo consentivano.
Il libro, nel quale la poesia è inserita, si è imposto all’attenzione dei lettori per la ricchezza inedita di contributi e per la freschezza narrativa dell’autore, professor Livio Clemente Piccinini, allievo di De Giorgi.
Lo spirito che vi si coglie, come scrivono le curatrici, ci consente di riconoscere l’importanza del legame Maestro-allievo, l’alone di profonda stima e talvolta di venerazione in cui si muove e l’emozione di sedersi intorno al tavolo dei “grandi”.
La figura di una persona autorevole, lo sappiamo, risulta preziosa per non disperdere le energie, per non allontanarsi dal percorso scelto, per la formazione e, naturalmente, per l’ampliamento delle conoscenze.
Tutto questo viene messo in luce nei dieci capitoli in cui è suddiviso il libro.
In linea con Dante: l’intenzione è quella di rendere onore ad una guida eccezionale, ad un grande Maestro. Proprio come fa Dante con Virgilio, che con altri autori classici costituisce un’irrinunciabile fonte d’ispirazione.
Gabriella Sartor Zanzotto
Ma, le fonti d’ispirazione privilegiate rimangono i fenomeni dei suoi luoghi naturali, di quelli osservati direttamente da lui, negli ambienti in cui lo portava il suo peregrinare “per l’altrui scale”. I suoi viaggi, del resto, devono essere stati numerosi, se nel “Convivio I, 3” ci confida:
” Per le parti quasi tutte a le quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando, sono andato...”.
Vorrei, a questo punto, enucleare l’atteggiamento di assoluta novità, di grande precursore di tempi che è stato Dante, richiamando brevemente alla memoria qual era l’aspetto della Natura nel Medio Evo e la carica simbolica ed allegorica che portava con sé. Dante avrebbe potuto rivolgere a ciò tutta la sua attenzione, come accadeva in altri artisti a lui contemporanei.
Gli storici ci dicono che l’Europa era in gran parte ricoperta di foreste, che rappresentavano il luogo della caccia, della raccolta dei prodotti con cui integrare quelli dei campi, ma, nel contempo era un luogo pieno di pericoli (animali feroci, briganti, eventi disastrosi) che incutevano terrore: la natura poteva essere fonte di gioia, ma anche, di paura.
Inoltre, il pensiero dominante era quello di affrontare la vita, cercando di capire i suoi segnali che i luoghi della natura mandavano, per non peccare e meritarsi il Paradiso: Natura come un libro da leggere, cioè, da decifrare e da interpretare, perché la essa era considerata una selva di simboli.
Tale atteggiamento, volto a trovare il significato nascosto, era quello adottato per capire fino in fondo un testo.
Faccio un veloce richiamo a quanto Dante scrive nel Convivio, a proposito dei necessari livelli di lettura, indispensabili per non perdere il significato profondo.
Vi troviamo scritto che non basta fermarsi al primo livello di lettura, quello letterale, bisogna utilizzarne altri tre: la ricerca del significato simbolico, l’insegnamento etico che ne possiamo ricavare ed il coinvolgimento di altri nel cammino virtuoso.
C’era, però, una differenza tra la mentalità diffusa in quel secolo e quella specifica di Dante, pur radicato profondamente in esso.
I suoi contemporanei, poiché, come avveniva dovunque, consideravano l’universo un insieme di segni, si preoccupavano soltanto della loro decifrazione, cercando di rintracciarvi la manifestazione enigmatica di presenze invisibili, buone o malvagie, e divine.
Dante non si ferma a quella esigenza.
Dante vuole, riuscendovi, andare oltre, nel timore che quell’atteggiamento, diffuso nel Medio Evo, si riveli per lui responsabile di una condizione di passività, di disinteresse per la natura e per la sua trasformazione. Ha bisogno di altro e ne fa altissima poesia.
Qui, dunque, sta la modernità di Dante: essere animato da curiosità per i fenomeni, per le loro cause, per il loro svolgersi, pur accettando la Natura come opera di Dio.
Il Poeta esprime questo suo capire e sentire con la scelta efficace ed evocativa di termini nella lingua “volgare”, che lui vuole “illustre”, con la terzina aperta o chiusa; con la musicalità del verso endecasillabo, teso ad esprimere il cammino umano in luoghi diversi della natura, terribili o affascinanti, ma tutti volti a farci capire la bellezza del percorso. Da non interrompere, nemmeno nella natura più selvaggia e aspra: le rime incatenate ci dicono, al di là del significato delle parole, la necessità di non fermarsi.
Le descrizioni della Natura all’interno della Divina Commedia non servono soltanto a rendere credibile il suo viaggio nell’aldilà.
Con esse vuole esprimere il ruolo prezioso che l’ambiente naturale ha ed il rispetto che esige. Pena la nostra stessa sopravvivenza.
Dante vuole convincerci della bellezza della terra, spingerci verso la cura di essa e ad abbandonare la “ferocia” che troppe volte caratterizza il nostro rapporto con la Natura, di cui non apprezziamo i doni.
“L’aiuola che ci fa tanto feroci,
volgendom’io con li etterni Gemelli,
Paradiso XXII vv. 151-153
Il grande valore dei suoi versi risiede nella rivendicazione del diritto-dovere dell’uomo a vivere in armonia con la natura e con gli altri. Fra le terzine, le immagini poetiche evocano colori, voci, profumi, vi si può leggere un messaggio perenne: il diritto all’Amore.
Fra le motivazioni che rendono moderno Dante c’è la decisione di fare dell’amore reciproco, fra ogni essere della natura, il diritto irrinunciabile e la prova più grande dell’essere cristiano.
Abbiamo visto Dante incontrare anime che dimorano nei regni ultraterreni e dialogare con loro. Costanti sono il ricordo della vita terrena, la nostalgia, il rimpianto per il “dolce mondo”.
Nei colloqui emergono memorie di luoghi, mantenute con grande fedeltà ad essi e con forte carica emotiva.
per aver pace co’ seguaci sui”
Inferno V vv. 97-100
Qui, i versi che richiamano la natura vogliono offrire immagini di pace e di serenità perduta, rievocata da Francesca; il fiume è personificato: va verso il mare per cercare la quiete, quella che manca a lei ed a Paolo, trascinati dal vento, di cui sembra di sentire la forza travolgente e la voce.
Altro esempio di richiamo alla natura è quello delle rive della laguna di Venezia.
Per coinvolgere di più il lettore, Dante evoca una scena, alla quale forse aveva assistito, con alcune immagini che solamente ad un poeta, con lo sguardo abituato ad osservare e la mente abituata a ricordare, poteva suggerire versi di simile intensità.
La pece bollente è quella in cui sono immersi i barattieri, nella quinta bolgia del girone ottavo dell’Inferno.
Dante li considera peccatori indegni, infatti, li colloca quasi in fondo alla voragine infernale; la loro colpa ha minato le basi di ogni comunità e continua a ferirlo, anche di più, perché la baratteria era tra i capi d’accusa responsabili del suo esilio.
Per esprimere il grado di sofferenza estrema ed eterna a cui quei peccatori sono sottoposti, ci regala una delle similitudine più famose, nella quale si richiama ad uno dei luoghi più pittoreschi e vitali delle coste della laguna veneta:
“Quale ne l’arzanà de’ Viniziani
bolle l’inverno la tenace pece
a rimpalmar i legni lor non sani,
ché navicar non ponno - in quella vece
chi fa suo legno novo e chi ristoppa
le coste a quel che più viaggi fece,
chi ribatte da proda e chi da poppa;
altri fa remi ed altri volge sarte;
chi terzaruolo ed artimon rintoppa
tal, non per foco ma per divin arte
bollia là giuso una pegola spessa”
Dante con queste terzine si rivela osservatore attento e coinvolto, curioso del lavoro dell’uomo di mare, che in esso trova la fonte di vita e quindi ha cura particolare degli strumenti che in mare gli sono preziosi e rendono sicuri i suoi viaggi.
Aurora Valzano Pinnetta (Interlocutrice)
Vorrei che ci soffermassimo a parlare anche della forza che possiede il mare, questo straordinario elemento della natura e delle conseguenze che la sua violenza può provocare, minacciando chi ci si avventura, con una conoscenza inadeguata di tutte le variabili. Qui, c’è un altro punto di vista, da cui guardare il mare.
Il Canto è quello famosissimo di Ulisse: il mare è il luogo della natura che invoglia a salpare, a non volersi privare di conoscere quello che c’è oltre l’orizzonte, “di retro al sol”, ma che richiede anche consapevolezza dei rischi.
Deve essere solida l’imbarcazione, giovane, vigoroso e preparato l’equipaggio, nota la rotta, conosciuta l’area, devono essere valutate le correnti e le condizioni atmosferiche.
L’eroe greco racconta a Dante ed a Virgilio del suo viaggio: le acque non sono quelle vicine alla costa, come nella laguna veneta: qui, c’è l’alto mare, quello che ha un richiamo in chi vuole conoscere e insegue la scoperta:
“ma misi me per l’alto mar aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola dalla quale non fui diserto”
Inferno XXVI vv. 100-102
Però, è insidioso, soprattutto, se scoppia un turbine di vento, che spegne sul viso la gioia di un viaggio desiderato ed intrapreso:
“Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché della nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fe’girar con tutte l’acque:
alla quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ‘l mar fu sopra noi richiuso”
Inferno XXVI vv. 136-142
Il mare domina tutta la vicenda con l’immensità della sua presenza, con la furia delle sue tempeste.
Le onde del mare, che lambiscono tranquille le coste, le troviamo all’isola del Purgatorio, sull’orlo estremo della spiaggia, dove crescono i giunchi:
“Questa isoletta intorno ad imo ad imo
là giù colà dove la batte l’onda
porta di giunchi sovra ‘l molle limo”
Purgatorio I vv. 100-102
In Dante troviamo anche una terzina dedicata alla marea, fenomeno naturale ulteriore prova del suo interesse scientifico. Mostra di averne capito la causa, collegandola all’attrazione lunare. La superficie dell’acqua del mare varia, è instabile, come lo è la fortuna; in questi versi descrive il fenomeno con una bella similitudine:
“E come il volger del ciel de la luna
cuopre e discuopre i liti senza posa,
così fa di Fiorenza la Fortuna”
Paradiso XVI vv. 82-83
Gabriella Sartor Zanzotto
Nel mondo meraviglioso della natura, il mare doveva esercitare un grande fascino su Dante, con la sua vastità e con le sue iridescenze. Infatti, lo inserisce in una delle similitudini più famose della Divina Commedia.
Con Virgilio e Sordello è in cammino verso una piccola valle ai piedi della montagna ed è l’ora del tramonto. Il Poeta la determina in maniera indiretta, con la rappresentazione di uno stato d’animo, nel quale forse tante volte si era trovato Lui stesso: un sentimento di struggente nostalgia. I versi con cui lo esprime sono resi anche più suggestivi dal suono delle campane e dall’ora del tramonto, che suscita nei naviganti il ricordo dei cari che hanno lasciato.
La suggestione dell’ora è raggiunta attraverso due canali, quello uditivo e quello visivo.
Dante non trascura la consapevolezza della sua missione: continuare il viaggio, da riferire sulla terra, nel proposito di salvare l’umanità dal peccato. Ma, oltre che pellegrino, è esule, con tanti ricordi ancora vivi nella memoria.
Allora, qui, si fa soccorrere dalla natura meravigliosa, con il cielo al tramonto e la superficie del mare. Ad esprimere la commozione pensa ai naviganti.
“Era già l’ora che volge il disio
ai navicanti e ‘ntenerisce il core
lo dì c’han detto ai dolci amici addio”
Purgatorio VIII vv. 1-3
Elisa Biliotti (Interlocutrice)
Vorrei inserirmi in questo dialogo, ripensando a due terzine nel primo Canto del Purgatorio che continuano ad affascinarmi. E l’incanto dura da secoli, ad ogni latitudine. In esse Dante ha gli occhi rivolti al cielo, di cui riscopre il fascino dopo le tenebre dell’Inferno.
La volta celeste trionfa con parole di intenso lirismo:
“Dolce color d’oriental zaffiro,
che s’accoglieva nel sereno aspetto
del mezzo, puro infino al primo giro,
a li occhi miei ricominciò diletto,
tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta
che m’avea contristati li occhi e ‘l petto.
Lo bel pianeto che d’amar conforta
faceva tutto rider l’oriente”
Purgatorio I vv. 13-20
Il tenero colore azzurro, simile ad uno zaffiro orientale, che si diffondeva nell'aria serena e tersa, fino al primo cielo, riconfortò gli occhi di Dante, appena uscito dalle tenebre dell'Inferno, che gli avevano afflitto lo sguardo ed i pensieri.
Cita anche il pianeta Venere. L'immagine è stupenda: Venere illumina serenamente la parte orientale del cielo.
Dante sapeva che di zaffiri ne esistevano due, ma, di maggior pregio era quello orientale, di un azzurro tenue, magico, per dipingere il cielo con le ultime tenebre della notte e le prime luci dell’alba.
Inoltre, qui, ha utilizzato lo zaffiro orientale non solamente per il colore azzurro, ma anche per il simbolo ad esso collegato: dono della libertà.
Nel Medio Evo, alle gemme veniva sempre associato un valore, come ad ogni elemento della Natura. Pertanto, non sorprende che nel poema esse compaiano.
Nell’Inferno, troviamo due pietre: l’elitropia ed il cristallo; nel Purgatorio, oltre lo zaffiro orientale, compaiono lo smeraldo e il diamante. Ma, il trionfo della bellezza, nella natura delle pietre, lo troviamo nel Paradiso: la perla, il diamante, la gemma, il topazio, il rubino, l’ambra, il cristallo.
La città di Firenze, come testimoniano i documenti, aveva numerose botteghe di orafi, che rendevano possibile la conoscenza delle pietre, le chiese comprendevano le gemme nei loro arredi sacri. Inoltre, alle varie corti, dove Dante si trovava a soggiornare, era facile trovarsi in mezzo ad oggetti preziosi.
Tutto questo gli permise di essere esperto anche di pietre preziose. Del resto, circolavano anche testi che consentivano di completarne la conoscenza.
Gabriella Sartor Zanzotto
Questo nostro incontro ci ha dato l’occasione di soffermarci anche su Dante conoscitore di pietre. Ci siamo lasciati incantare dai suoi versi, nei quali “l’oriental zaffiro” ci ha fatto il dono di un’ulteriore meraviglia. Incantare, non sorprendere.
Infatti, abbiamo capito che per Dante ogni elemento della Natura, in quanto creatura di Dio, va osservato e conosciuto: quindi anche le pietre.
Dante pensava che tutto nel Cosmo fosse collegato e che le cose tutte avessero un ordine fra loro.
La sua tensione verso l’unità era grande.
Spinto da essa, Dante, pur senza gli strumenti matematici, ma con la forza straordinaria della sua immaginazione, ha avuto l’intuizione di un cosmo, in cui tutto è collegato e compreso l’uno dentro l’altro!
Certamente, le conoscenze possedute allora non gli permettevano di andare oltre. Però, in lui non sono mai venute meno la “curiositas” di fronte ai fenomeni naturali, la capacità di osservare, i continui dubbi (nel Paradiso, sono numerose le Questiones poste a Beatrice), il rigore del ragionamento ed il vaglio delle conclusioni.
Ma, anche se le incertezze restavano e richiedevano ulteriori prove, in lui non veniva meno la gratitudine per il cammino di ricerca e la gioia stupita di fronte al mistero della Natura ed alle scoperte della ragione.
“Il senso del mistero, che è il seme di ogni arte e di ogni vera scienza”, per citare le parole di Albert Einstein.
Sonia Biliotti Zanzotto (Interlocutrice)
Un’altra fonte di suggestione è l’aurora, che compare all’inizio del secondo Canto del Purgatorio, “la bella Aurora”, con le guance bianche e vermiglie che stanno per diventare arancioni.
Era la dea che apriva le porte al giorno e liberava i venti, immaginati come suoi figli: Austro, Borea, Euro e Zefiro.
Compare, poi, in chiave mitologica, come giovane moglie di Titone. A lui Giove aveva dato l’immortalità, ma non la giovinezza. Dante usa questa bella immagine di lei che s’affaccia al balcone d’oriente, dopo essere stata nelle braccia del suo dolce amico, e protende la testa verso la metà del cielo, così che la costellazione dello Scorpione le forma una corona luminosa intorno al viso:
“La concubina di Titone antico
già s’imbiancava al balco d’oriente,
fuor delle bracciadel suo dolce amico;
di gemme la sua fronte era lucente.”
Anche Virgilio si rifà alla mitologia per indicare le ore.
Nell’Eneide, aveva risolto l’immagine con versi indimenticabili, che offrono il sorgere dell’aurora che precede il carro del sole e colora di rosso la volta celeste, dopo aver messo in fuga le stelle:
“Iamque rubescebat stellis Aurora fugatis”
La Natura viene descritta da Dante ispirandosi a pagine dell’Eneide di grande fascino, ma viene presentata in una dimensione cristiana, in quanto frutto della creazione divina e concessa da Dio come un dono da Dio, come luogo in cui vivere dopo la cacciata di Adamo dal Paradiso Terrestre.
Se ripensiamo alla descrizione della “divina foresta spessa e viva” del Paradiso terrestre, riconosciamo il richiamo al locus amoenus dell’Eneide, certamente uno dei topoi della letteratura classica, patrimonio culturale vastissimo posseduto da Dante.
Gabriella Sartor Zanzotto
La “divina foresta” viene osservata con l’eco dei classici, ma alla maniera di Dante, per così dire. Con sguardo osservatore ed attento ai particolari ed ai riferimenti topografici. Il Poeta, inoltre, cerca e trova un elemento di paragone e ci accompagna all’incontro con una natura familiare, quella della pineta di Classe (RA):
“tal qual di ramo in ramo si raccoglie
per la pineta in su ‘l lito di Chiassi
quand’Eolo Scilocco fuor discioglie”
Purgatorio XXVIII vv. 19-21
Dante ha individuato in Virgilio la guida durante il suo difficile cammino, oltre che la fonte autorevole a cui attingere per la narrazione del suo viaggio. Ma, in questo luogo della natura, sulla cima del Purgatorio, giunto al Paradiso Terrestre, Virgilio non può continuare ad indicare il percorso. Il suo posto sarà preso da Beatrice.
Michela Cigola Cappellani
La figura di Virgilio, che aveva soccorso Dante nella selva oscura, all’inizio del suo viaggio, ha rivestito il ruolo di guida, di padre e di maestro.
“Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore
tu se’ solo colui da cui io tolsi
lo bello stilo che m’ha fatto onore.
Vedi la bestia per cu’ io mi volsi:
aiutami da lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi”
Virgilio è legato al Salento, per vicende biografiche e per aver fatto approdare Enea in un luogo del Salento.
Nel III libro dell’Eneide, troviamo queste parole:
“Il porto si curva in arco contro il mare d’oriente, due promontori schiumano sotto l’urto delle onde e il porto vi sta nascosto; gli scogli come torri proiettano due braccia che sembrano muraglie; il tempio è lassù in alto, ben lontano dal mare.”
Il luogo dello sbarco dell’eroe troiano è stato sempre dibattuto tra gli studiosi ed è stato identificato in Porto Badisco (Otranto, Lecce), Leuca (Castrignano del Capo, Lecce), Roca Vecchia (Melendugno, Lecce) o Castro (Lecce).
Oggi la corrispondenza tra fonti letterarie, dati topografici e nuove scoperte archeologiche, sembra accreditare in modo definitivo l'ipotesi di Castro, avanzata sin dall’inizio dal prof. Francesco D’andria, docente di Archeologia dell’Università del Salento.
Gli scavi archeologici compiuti a Castro (Castrum Minervae, Colonia romana dal 123 a. C), negli anni 2007 e 2008, hanno riportato in luce la poderosa cinta muraria ellenistica, hanno restituito anche numerose evidenze relative ad una frequentazione cultuale della sommità dell’abitato antico, tra cui elementi architettonici riferibili ad un edificio templare ed una statuetta in bronzo di Athena Iliaca.
Lo scavo archeologico del 2015 ha restituito il busto di una statua acefala femminile di grandi dimensioni, in pietra calcarea, che potrebbe essere quella di culto del tempio di Minerva. Due anni dopo è stato portato alla luce l’altare monumentale.
D’Andria sostiene, quindi, che la rocca citata nel III libro dell’Eneide di Virgilio sia da identificare con Castro.
iam propior templumque apparet in arce Minervae”,
“Crescono le brezze sperate e già il porto si apre / ormai vicino e sulla rocca appare il tempio di Minerva”.
Su Castro si è concentrata anche l’attenzione internazionale per la realizzazione di un grande progetto dedicato al mito di Enea.
C’è da aggiungere che Castro è un luogo magico, con un mare azzurro e cristallino e una natura incontaminata, ricco di storia, di monumenti, di boschi e di grotte costiere di notevole rilevanza, tra cui la grotta Zinzulusa, la cui formazione è ricondotta al periodo del Pliocene, e la Romanelli, risalente al periodo del Pleistocene, un connubio tra storia e bellezza.
Il mito di Enea in fuga da Troia verso l’Italia è raccontato in un bellissimo video, “Sul Cammino di Enea”, realizzato in tre lingue (italiano, inglese e greco) a cura di Virginia Valzano, che ci consente anche di conoscere la cultura e le bellezze naturalistiche di questi luoghi affascinanti (https://vimeo.com/416768152).
Virginia Valzano Biliotti
Nel mondo ultraterreno di Dante, gli elementi della natura che assumono maggiori valenze simboliche sono: il buio, che caratterizza l’Inferno, a cui si aggiungono il vento e l’acqua nelle sue diverse forme (pioggia, palude, fiume, lago ghiacciato, mare), la luce nel Purgatorio e soprattutto nel Paradiso.
Alla natura del Purgatorio Dante attribuisce i caratteri positivi del mondo terreno, come la luce diffusa e gradevole, l’alternarsi quieto del giorno e della notte, le acque serene del mare che lambiscono le coste della montagna, la vegetazione agile e leggera della spiaggia, fino alle acque del Letè e dell’Eunoè, di cui fa esperienza, arrivato sulla cima.
La descrizione del Paradiso presenta un fiume di luce crescente e una candida “rosa”, un luogo di candore, splendente, a forma di anfiteatro dove Dante immagina che siano tutti i beati.
Nei luoghi descritti sono ripresi i topoi riconducibili al valore simbolico del Cristianesimo, a cominciare dall’acqua, che richiama il rito del Battesimo, ed altri che sono riconducibili alla classicità.
Gabriella Sartor Zanzotto
Tutto questo mondo, dal punto di vista letterario, è una risorsa imprescindibile per Dante, da conoscere e da rielaborare con la forza della sua lirica e con la solidità dei suoi principi cristiani.
Dante attinge a quelle fonti, ispirandovisi, ma soprattutto, apportandovi la sua forza creativa, di uomo proiettato verso una Natura da studiare con occhio di uomo di scienza.
Ci sono terzine dedicate all’origine del vento, dell’arcobaleno, al ciclo della pioggia, alle frane, alla varietà della volta celeste.
Fra gli autori della sua vasta cultura, c’era Lucrezio, uno degli autori che più si era posto il problema dell’importanza della natura nella vita dell’uomo: nell’opera “De rerum natura”, offre un’ampia lettura del cosmo e della realtà fenomenica, con la finalità di liberare gli uomini dalla paura della morte e degli dei.
Da sottolineare, però, la concezione¸ prevalsa nella sua maturità, della natura come matrigna, che infligge all’uomo fin dalla nascita difficoltà, sofferenze ed epidemie, come la peste che dilagò ad Atene nel V secolo a. C., creando il tema letterario della malattia che può sconvolgere la vita.
Virginia Valzano Biliotti
Abbiamo visto insieme la Natura messa in risalto nelle terzine di Dante. Abbiamo letto descrizioni di straordinaria efficacia elaborate in modo sapiente così da creare pagine di grande poesia. Fonte preziosa
Ma, Dante è anche poeta cristiano.
Crede importante descrivere la “divina creatura” ricca di luce, di vegetazione, di acqua (elemento di grande valenza simbolica nella religione), di fiori, di profumi e di canti di uccelli, crea l’atmosfera paradisiaca.
Ma, non basta: ci riallacciamo a quanto sostenuto all’inizio, cioè che Dante, poeta colto e uomo cristiano, è anche un precursore dello studioso naturalista, geografo e astronomo.
Così, attinge, per descrivere l’aldilà, al mondo terreno, osservato in modo articolato, considerandone i fenomeni naturali.
C’è l’uomo che non si sottrae mai al fascino della natura descritta da autori classici, assunti come modelli, e da Lui considerata creatura di Dio. Ma c’è anche l’uomo che vuol capire, vedere gli ostacoli e sognare di oltrepassarli. Con la fede, con la Grazia. Con l’orgoglio, con l’intelligenza.
Con intelligenza dobbiamo imparare a rispettare e preservare la Natura, a sentirci tutti parte di essa. Sinora abbiamo inseguito il progresso, la crescita economia senza preoccuparci della devastazione della natura, dobbiamo invece disegnare il nostro sviluppo secondo criteri di sostenibilità e di cura per l’ambiente.
Il nostro vivere quotidiano deve prevede l’armonia con la natura (come ci insegna Dante), e lo sviluppo di modi di vivere che non la deteriorino.
Abbiamo il dovere di lasciare alle generazioni future un mondo in condizioni migliori di come l’abbiamo ricevuto, come dice anche Karl Marx nella sua opera “Il Capitale”.
Da tempo, tutti questi obbiettivi sono stati tenuti presenti da molti studiosi, scienziati e anche da autorità religiose.
Nel 2015, Papa Francesco (Jorge Bergoglio) ha pubblicato l’Enciclica Laudato Si’ sulla “Cura della casa comune”, chiedendo a tutti gli esseri umani di convertirsi all’ecologia: la conversione ecologica.
In questo documento, in cui si riconoscono tutti gli scienziati che si occupano di ambiente, spiega che l’uomo fa parte degli ecosistemi, ha una sua ecologia che dipende dal funzionamento degli ecosistemi. Non è fuori dalla Natura, ma è parte della Natura. La deve custodire. “Poiché tutte le creature sono connesse tra loro, di ognuna deve essere riconosciuto il valore con affetto e ammirazione, e tutti noi esseri creati abbiamo bisogno gli uni degli altri”.
Lo scorso anno, si è levata dal coro una voce giovane, quella di Greta Thunberg, una ragazzina svedese di 15 anni, sollevando il problema della sostenibilità ambientale e riscuotendo consensi in molte parti del mondo di coetanei e di adulti, con mobilitazioni inimmaginabili. Ha smosso i media e le coscienze, protestando contro i cambiamenti climatici.
Da molti anni, lo scienziato Ferdinando Boero, zoologo ed ecologo, insieme all’ecologa Simona Fraschetti e ad altri suoi colleghi, sostiene e cerca di far capire a tutti che non possiamo anteporre l’economia all’ecologia, a prezzo di autodistruggerci.
Cito sue parole: << Abbiamo continuato a chiedere il “progresso”, la “crescita”, confondendola con lo sviluppo, incuranti della devastazione della natura. Lasciamo un mondo più ricco, forse, ma senz’altro più brutto. E chi viene dopo di noi non può neppure sapere cosa gli è stato tolto.>>
E ancora:
<< Stiamo esercitando una pressione insostenibile sulla natura che, invece, ci sostiene. Senza il resto della natura la nostra specie non può vivere. Dobbiamo conservare il patrimonio naturale e lavorare per restaurarlo, qualora fosse stato distrutto. La biodiversità e gli ecosistemi hanno un valore, non hanno un prezzo, proprio come la salute. Non ci sono soldi che possano pagare la nostra salute, se la perdiamo. Ci sono costi per le cure, non guadagni.
Gran parte delle malattie hanno cause ambientali: per curare la nostra salute e il nostro benessere dobbiamo prenderci cura della natura. Invece abbiamo scelto di curare i sintomi (le malattie) tralasciando le cause (la distruzione dell’ambiente). >> (Ithaca: Viaggio nella Scienza, XV, 2020 - Leggi della natura).
Preservare la natura, quindi, è di importanza cruciale. “Non nell’interesse della natura, ma nel nostro interesse. La natura è perfettamente in grado di affrontare le catastrofi”.
Boero, docente di zoologia e biologia marina presso l’Università de Salento (dal 1987 al 2019) e poi presso l’Università di Napoli Federico II, vicepresidente dell’European Marine Board, ha promosso e realizzato moltissimi progetti a livello nazionale e internazionale.
Nel 2015-2016, ha coordinato e realizzato, con il coinvolgimento di centinaia di scienziati provenienti da 39 Istituti di 22 Paesi, il progetto CocoNet (Towards COast to COast NETworks of marine protected areas, coupled with sea-based wind energy potential) per la protezione degli ambienti marini e la produzione di energia pulita, per la creazione di aree marine protette nel Mediterraneo e Mar Nero.
Ci fa piacere che lo scienziato Boero, anche in una recente intervista abbia riconosciuto il ruolo positivo delle donne nella politica e nella salvaguardia della Natura, con scelte mirate alla conversione ecologica. Egli cita la presidente della Commissione Europea (Ursula Von Der Leyen), della Slovacchia (Zuzana Caputova), della Finlandia (Sanna Marin) e la premier della Nuova Zelanda (Jacinda Ardern); sono tutte donne eccezionali, che come dice lo stesso Boero, “stanno facendo quello che gli uomini non hanno fatto”.
Noi potremmo citarne tante altre, non solo straniere ma anche italiane, fortemente impegnate per gli stessi obiettivi in campo scientifico, politico e sociale, con intelligenza, forza d’animo e determinazione, nonostante le difficolta, di ogni genere, cui possono andare incontro. Mi viene in mente ora la virologa Ilaria Capua. Ma, non vorremmo, qui, dilungarci troppo (anche se ci piacerebbe) e allontanarci dalla tematica amorosa di questo nostro incontro, riguardante la Natura.
Un’altra italiana, a noi molto vicina, l’abbiamo già citata pocanzi, l’ecologa Simona Fraschetti (docente presso le Università del Salento e di Napoli Federico II), impegnata in diversi progetti scientifici, nazionali e internazionali, di notevole rilevanza, tra cui il progetto CocoNet e il progetto per il ripristino dei fondali marini attraverso il trapianto di macroalghe, una componente importantissima per tutto l’habitat marino, conciliando protezione e sviluppo economico, in collaborazione con le Istituzioni locali.
Michela Cigola Cappellani
In quella stessa intervista, Boero dice di credere che le donne abbiano la possibilità di promuovere valori femminili e spera che questi prevalgano su quelli maschili.
La sua grande fiducia nelle donne ci fa molto piacere. Però io ritengo, senza entrare nel merito delle differenze di genere, che non si debba parlare di valori femminili, bensì di valori universali e umanissimi, che molte donne hanno storicamente mostrato di declinare al meglio, con intelligenza, forza d’animo e determinazione, affrontando e superando difficoltà di ogni genere.
Sono ovviamente molto d’accordo su tutto il resto.
Una presentazione, breve, molto chiara e anche affascinante del Progetto CocoNet ci viene data da Boero nel video “Un paradiso da salvare” pubblicato sulla WebTv dell’Istituto Treccani:
(http://www.treccani.it/magazine/webtv/videos/Int_ferdinando_boero_biodiversita.html).
Una descrizione molto dettagliata e tecnico-scientifica sui risultati di questo grande progetto è stata pubblicata nel Supplemento del vol. 6 (2016) della rivista SCIRES-IT - SCIentific RESearch and Information Technology (http://www.sciresit.it/), una rivista scientifica online, open access ed ecosostenibile, fondata da Virginia Valzano nell’ambito di un progetto editoriale che coniuga i principi della Dichiarazione di Berlino sull'Open Access con gli obiettivi della Convenzione Internazionale della Diversità Biologica, favorendo la divulgazione scientifica, rapida e senza barriere, la conoscenza della biodiversità in tutti i suoi aspetti, la tutela del territorio e l'uso sostenibile delle risorse naturali.
Ed è proprio questo il Manifesto della rivista, gestita tuttora, con grande successo, da tre donne (una sono io).
Il progetto, avviato nel 2009 e portato avanti con molta determinazione da Virginia, con il coinvolgimento di diverse Istituzioni, del prof. Boero e della responsabile dell’Orto Botanico, Rita Accogli, dell’Università del Salento, prevede, per ogni pubblicazione elettronica ad accesso aperto, un intervento di restauro ambientale nelle aree protette, sensibili, di reti ecologiche, con l’introduzione di ecotipi locali di specie autoctone.
Tra le pubblicazioni del 2010 troviamo anche due ebook, open access, di Boero e Accogli, molto interessanti e affascinanti su “La biodiversità marina e il funzionamento degli ecosistemi” e sulle “Aree protette della Provincia di Lecce.
Sonia Biliotti Zanzotto
Per molti scienziati la pandemia di Covid-19, che stiamo vivendo, non è che una manifestazione della crisi ecologica, climatica e ambientale in cui siamo entrati da tempo.
Numerosi indizi, il rapporto tra inquinamento e diffusione del virus, tra situazioni di squilibrio e distruzione di habitat selvatici, tra contagio e insalubrità di molti insediamenti umani, inducono a questa conclusione.
Certo è che anche noi, non scienziati, in questi mesi di pandemia, che ci ha fatto fare un passo indietro obbligandoci alla reclusione, abbiamo visto, dalle nostre finestre e terrazze e dai video che circolavano su WhatsApp, delle immagini di una natura in forte ripresa in tutto il mondo e riscoperto la sua bellezza e ricchezza: l’aria pulita, il profumo dei fiori, le farfalle, le api e gli uccelli che cinguettano, il cielo limpido, le stelle che brillano, le strade vuote, senza traffico, smog, e rumore e gli animali che invadono l’habitat abbandonato dagli umani, anatre e anatroccoli che scorrazzano ovunque, i pesci che tornano a vivere nei canali di Venezia, i delfini che saltellano in mare e giocano davanti a spiagge deserte, e un mare azzurro e cristallino.
Tutto questo ci insegna che bisogna uscire dalla crisi in modo sostenibile, occorre un cambiamento radicale a livello mondiale, in campo pratico e politico, avviare una radicale conversione ecologica nei comportamenti e in campo produttivo.
Come sostengono Joseph Stiglitz (premio Nobel per l’Economia) e Tim Jackson (economista ecologico britannico, docente di sviluppo sostenibile), l’economia deve ripartire pensando al benessere, non alla crescita. Distribuzione della ricchezza, qualità della vita e tutela del Pianeta, sono gli obiettivi alla base dell'economia del benessere, che devono orientare le scelte politiche.
Tutte noi vogliamo, per noi e per le future generazioni, una Economia della Natura, non un’economia senza natura, una grande truffa.
Manderemo tutti i nemici dell’ecologia nel Girone della X e ultima Bolgia dell’VIII Cerchio dell’Inferno, a due passi da Lucifero, dove l’abbondanza che hanno tentato di creare per via fittizia diviene la loro stessa condanna (Inferno, Canti XXIX –XXX).
“... veder per quella oscura valle
languir gli spirti per diverse biche.
Qual sovra 'l ventre e qual sovra le spalle
l'un de l'altro giacea, e qual carpone
si trasmutava per lo tristo calle.”
Virginia Valzano Biliotti
L’amore per la Natura, con le sue immense bellezze e ricchezze, un paradiso da salvare, trionfa nella Divina Commedia e nei nostri cuori.
Con l’augurio che possiamo presto abbracciarci e proseguire i nostri “Dialoghi al femminile” anche direttamente di persona, riassaporando la bellezza della Natura e una ripresa sostenibile, chiudiamo questo nostro secondo incontro virtuale su Dantedì con i bellissimi versi:
faceva tutto rider l’oriente”
Lecce, Udine, Cassino (FR), Leverano (LE), Roma, Bristol (Regno Unito), 25 aprile 2020
Virginia Valzano Biliotti, Gabriella Sartor Zanzotto, Michela Cigola, Aurora Valzano Pinnetta, Elisa Biliotti, Sonia Biliotti Zanzotto
Unite idealmente in Italia e nel mondo nel nome di Dante
“Lo bel pianeto che d’amar conforta / faceva tutto rider l’oriente” (Purgatorio I vv. 19-20)